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9 Settembre 2024
Antonio Gibelli

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La guerra vista dal basso. Bambine, bambini, adolescenti tra Otto e Novecento. Un profilo storiografico

STORIA

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Fascicolo 01

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Abstract Italiano

I bambini e gli adolescenti sono le vittime più vulnerabili dei conflitti armati. Nonostante ciò non è da molto che gli storici si occupano di infanzia e adolescenza in contesti bellici. Un primo aspetto considerato dagli studiosi, riguarda l’effetto della propaganda sui minori, influenzati tramite l’utilizzo di libri scolastici, pubblicazioni, manifesti culturali, cartoline illustrate, abbecedari, giocattoli o giochi da tavola. Negli ultimi decenni il coinvolgimento di adolescenti e bambini in guerre e conflitti è cresciuto ma già nelle rivoluzioni francese e americana i più giovani avevano avuto un ruolo importante, così come avvenne nell’Italia risorgimentale quando ci furono numerosi casi di mobilitazione adolescenziale e giovanile. Anche se non vi partecipano come soggetti attivi, durante i conflitti i bambini sono costretti ad assistere allo spettacolo della violenza e della morte. Diverse sono le testimonianze di ciò: scritture scolastiche, lettere, diari, disegni.

Abstract English

Children and adolescents are the most vulnerable victims of armed conflicts. Despite this, it is not long since historians have been concerned with childhood and adolescence in war contexts. A first aspect considered by scholars, concerns the effect of propaganda on children, influenced through the use of school books, publications, cultural posters, picture postcards, primers, toys or board games. In recent decades the involvement of adolescents and children in wars and conflicts has increased, but already in the French and American revolutions the youngest had played an important role, just as it did in Risorgimento Italy when there were numerous cases of adolescent and youth mobilization. Even if they do not participate as active subjects, during conflicts children are forced to witness the spectacle of violence and death. There are several testimonies to this: school writings, letters, diaries, drawings. [Translated with DeepL.com (free version)]

Abstract Français

Les enfants et les adolescents sont les victimes les plus vulnérables des conflits armés. Malgré cela, il n’y a pas si longtemps que les historiens ont traité de l’enfance et de l’adolescence dans des contextes de guerre. Un premier aspect examiné par les chercheurs concerne l’effet de la propagande sur les enfants, influencée par l’utilisation de livres scolaires, de publications, d’affiches culturelles, de cartes postales, d’abécédaires, de jouets ou de jeux de société. Au cours des dernières décennies, l’implication des adolescents et des enfants dans les guerres et les conflits s’est accrue, mais déjà lors des révolutions française et américaine, les jeunes ont joué un rôle important, tout comme dans l’Italie du Risorgimento, où l’on a observé de nombreux cas de mobilisation des adolescents et des jeunes. Même s’ils n’y participent pas activement, les enfants sont contraints, pendant les conflits, d’assister au spectacle de la violence et de la mort. Les témoignages sont nombreux : écrits scolaires, lettres, journaux intimes, dessins. [Traduit avec DeepL.com (version gratuite)]

Abstract Español

Los niños y los adolescentes son las víctimas más vulnerables de los conflictos armados. A pesar de ello, no hace mucho que los historiadores se ocupan de la infancia y la adolescencia en contextos de guerra. Un primer aspecto considerado por los estudiosos se refiere al efecto de la propaganda en los niños, influenciada a través del uso de libros escolares, publicaciones, carteles culturales, postales ilustradas, cartillas, juguetes o juegos de mesa. En las últimas décadas ha aumentado la participación de adolescentes y niños en guerras y conflictos, pero ya en las revoluciones francesa y americana los jóvenes desempeñaron un papel importante, al igual que en la Italia del Risorgimento, cuando se dieron numerosos casos de movilización adolescente y juvenil. Aunque no participen activamente, durante los conflictos los niños se ven obligados a presenciar el espectáculo de la violencia y la muerte. Existen diversos testimonios al respecto: escritos escolares, cartas, diarios, dibujos. [Traducción realizada con la versión gratuita del traductor DeepL.com]

SOMMARIO:
1. I bambini/e e le guerre nella storia: un interesse recente – 2. La guerra negli occhi dei minori: testimonianze scritte e figurate

1. I bambini/e e le guerre nella storia: un interesse recente

Non è da molto che gli storici si occupano di bambini/e e adolescenti non solo in quanto oggetto di strategie educative, correzionali, patrimoniali e dinastiche degli adulti o nel quadro di storia della famiglia, ma come soggetti e attori a pieno titolo della vita sociale, politica e quindi anche militare[1]. La vicenda più nota e citata risale al periodo medioevale, ed è la cosiddetta “Crociata dei bambini” (1212) – in realtà “una folla non armata” composta soprattutto da adolescenti anche oltre i sedici anni – «il cui carattere di spedizione lasciò il posto a quello di pellegrinaggio»[2]. Nella storiografia internazionale non mancano da tempo opere molto note di storia dell’infanzia come quella di Philippe Aries, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancient Régime, Plon, Paris, 1960, o quella in due volumi di Egle Becchi e Dominique Julia, Storia dell’infanzia. Dall’Antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1996, ma nessuna delle due dedica una specifica attenzione – ad esempio – al rapporto passivo e attivo dei minori maschi e femmine con eventi come le guerre.

La considerazione dell’infanzia/adolescenza nel contesto bellico è venuta alla ribalta nel lavoro storiografico solo recentemente, tra secolo ventesimo e anni duemila, nel corso della stagione di studi sulla Grande Guerra, allora molto fertile, in gran parte ispirati all’opera di George L. Mosse: in quel periodo lo spettro delle questioni di storia sociale e culturale del Primo conflitto mondiale registrò uno straordinario ampliamento e di conseguenza segnò una svolta molto significativa. Il primo a mettere a fuoco la posizione dell’infanzia nei processi di mobilitazione della popolazione degli Stati belligeranti fu un esponente di punta di questa nuova storiografia della Grande Guerra, Stephane Audoin-Rouzeau, nel volume La guerre des enfants 1914-1918, Armand Colin, Paris, 1994, un saggio di storia culturale in cui presentava la mobilitazione dell’infanzia – con riferimento al caso francese e confronti con quello inglese e tedesco – come un aspetto della mobilitazione totale propria del Primo conflitto mondiale, attingendo a un’ampia gamma di fonti quali libri scolastici, pubblicazioni per bambini e bambine, manifesti murali, cartoline illustrate, abbecedari, giocattoli e giochi da tavola dell’epoca.

L’opera metteva in evidenza, tra l’altro, i fenomeni generalizzati di brutalizzazione indotti dalla propaganda di guerra non solo nella mentalità dei combattenti ma in quella dei civili e in particolare dei minori, per esempio l’educazione all’odio, riscontrandone gli effetti anche in scritture personali come i diari di adolescenti. Un caso particolare è quello del diario di un quattordicenne divenuto poi un alto prelato, pubblicato con la presentazione dello stesso Audoin-Rouzeau (L’Enfant Yves Congar. Journal de la Guerre 1914-1918, Notes et commentaires par Stéphane Audoin-Rouzeau et Dominique Congar, Les Éditions du Cerf, Paris, 1997) dove appaiono con evidenza l’assimilazione e la rielaborazione creativa, in parole e disegni, degli stereotipi sulla viltà del nemico tedesco occupante territorio francese dove il ragazzo risiedeva.

Per quanto mi riguarda, sulla scia di queste problematiche mi dedicai allora a una ricerca sul caso italiano che individuava nella Grande Guerra il paradigma di un fenomeno di mobilitazione intensiva e di nazionalizzazione dei minori destinato a consolidarsi e a divenire sistematico dando luogo a specifiche istituzioni statali durante il fascismo. La formula dell’inquadramento, più precisamente della militarizzazione, “dalla culla alla tomba” ebbe allora realizzazione concreta finché il gioco della guerra, la guerra interiorizzata e simulata, sfociò nei disastri morali e materiali della guerra vera, la Seconda guerra mondiale. L’esito della ricerca fu il volume Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Einaudi, Torino, 2005, che inquadrava il processo in un fenomeno più generale palesatosi all’inizio del Novecento (da qualcuno all’epoca ottimisticamente definito “secolo dei fanciulli”), vale a dire l’inedita presenza di bambini e bambine, ragazzi e ragazze nello spazio pubblico: nel mercato e nello Stato, nella pubblicità e nella politica, in particolare nella mobilitazione bellica. Un fenomeno che preludeva e accompagnava l’avvento della società di massa nelle comunicazioni, nei consumi, nella produzione industriale e nell’organizzazione del lavoro. La guerra moderna, tecnologica e di massa come mai prima se n’erano viste, esigeva l’impiego di tutte le energie, materiali e simboliche, non ultima – anzi tra le più importanti – quella del mondo infantile in tutte le sue forme e articolazioni.

Da quel momento le ricerche e le pubblicazioni in argomento si sono moltiplicate, in Italia e fuori, offrendo angolazioni inedite sul fenomeno e spingendosi dentro la storia dei regimi totalitari e delle guerre civili, fino appunto alla Seconda guerra mondiale e oltre. Mi riferisco in rapida sequenza – e senza pretese di esaustività – ai testi di Nicolas Startgard, Witnesses of War: Children’s Lives under the Nazis, Jonathan Cape, 2005 (trad.it. La guerra dei bambini. Infanzia e vita quotidiana durante il nazismo, Mondadori, Milano, 2006); Veronica Sierra Blas, Palabras huérfanas. Los niňos e la Guerra Civil, Taurus, Madrid, 2009; Mariella Colin, “Les enfants de Mussolini”. Littérature, livres, lectures d’enfance et de jeunesse sous le fascisme. De la Grande Guerre à la chute du régime, Presses universitaires de Caen, Caen, 2010; Manon Pignot, Allons enfants de la Patrie. Génération Grande Guerre, Seuil, Paris, 2012; Bruno Maida, L’infanzia nelle guerre del Novecento citato sopra; ai quali vanno aggiunti almeno, tra i più recenti, i due volumi di Patrizia Gabrielli, La guerra è l’unico pensiero che ci domina tutti. Bambini, bambine, adolescenti nella Grande Guerra, Rubbettino, 2018 e Se verrà la guerra chi ci salverà? Lo sguardo dei bambini sulla guerra totale, Il Mulino, Bologna 2021.

Come si vede gli studi abbracciano ormai l’intero secolo XX, spingendosi in qualche caso fino ai giorni nostri, anche se nel panorama continuano a primeggiare le due guerre mondiali, eventi che hanno rappresentato profondi spartiacque nella storia globale e, in particolare, nella storia europea. In questo percorso si può vedere anzi una sorta di crescendo. Come ha scritto la storica britannica Johanna Bourke, mentre a simbolo della Prima guerra mondiale era assurto soprattutto il soldato in trincea, proprio i bambini sono divenuti un’icona dominante della Seconda: «i bambini londinesi erranti, spaesati, tra le rovine dell’East Land, o il bambino con la coppola che alza le mani sotto la minaccia delle armi nel ghetto di Varsavia, o ancora le file di reclute infantili passate in rassegna da un Hitler incupito prossimo alla fine»[3]. Il coinvolgimento dei bambini, specie in quanto vittime e spettatori, nei conflitti armati è in effetti cresciuto di intensità col crescere del coinvolgimento dei civili in generale: un fenomeno da non sottovalutare nella Prima guerra mondiale, ma certo divenuto addirittura preponderante nella Seconda, anche solo a considerare i dati generali sulle vittime: nel periodo 1939-1945 quelle civili (dovute a bombardamenti aerei, privazioni, deportazioni e genocidi) furono nettamente superiori a quelle militari.

Un po’ meno nutrito il panorama degli studi concernenti l’età moderna, per il quale vanno menzionati il volume di Simonetta Polenghi, Fanciulli soldati. La militarizzazione dell’infanzia abbandonata nell’Europa moderna, Carocci, Roma, 2003 e una serie di lavori dedicati al coinvolgimento di ragazzi e ragazze nelle vicende rivoluzionarie americane e francesi a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Tra gli altri si può ricordare Caroline Cox, Boy Soldiers of the American Revolution, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 2016. Il tema è peraltro oggetto di numerose evocazioni letterarie e iconografiche coeve: mi riferisco in particolare a La mort de Joseph Bara, dipinto incompiuto di Jeacques-Louis David risalente al 1794, dove viene rappresentato un ragazzo tredicenne, tamburino dell’esercito repubblicano, colpito a morte in Vandea nel 1793, divenuto un mito della rivoluzione; al quadro di Eugène Delacroix, La Liberté guidant le peuple, opera risalente all’epoca della rivoluzione di luglio contro la monarchia restaurata (1830) dove, accanto alla personificazione femminile della Libertà, svetta un giovinetto armato di due pistole (una per mano); fino al notissimo personaggio del monello Gavroche de I Miserabili di Victor Hugo, di cui si narra la morte sulle barricate nel corso della stessa vicenda. Né in questo ambito si può ignorare il celebre monello genovese denominato Balilla, la cui identità effettiva è rimasta inesorabilmente incerta a dispetto della mitologia nazionalpatriottica di lunga durata e di varia connotazione a cui ha dato luogo, e della diffusione del nome come brand applicato a prodotti come radio e automobili[4].

Su queste vicende, accanto all’epica e alla dimensione politica della temperie rivoluzionaria, va richiamato il quadro sociale che ne costituisce lo sfondo, analizzato molti anni fa dallo storico francese Louis Chevalier nell’opera Classes laborieuses et classes dangereuses a Paris pendant la première moitié du XIX siècle, 1958 (tradotta in italiano per Laterza nel 1976): l’abbondanza di monelli sulle barricate si spiega anche coi processi di trasformazione industriale e urbana che portarono a una straordinaria crescita demografica di Parigi e di altre città europee in seguito alle migrazioni dalle campagne, col conseguente impoverimento della popolazione e la comparsa nel paesaggio sociale di frotte di ragazzi emarginati, discoli e vagabondi, spesso impiegati in mestieri ambulanti, sempre all’attenzione delle forze dell’ordine. È un fenomeno presente anche nell’Italia del primo Ottocento, dove è noto il caso dei ragazzi migranti, come suonatori di organetto e altri mestieri girovaghi che ne favorivano la mobilità, tra i quali i piccoli spazzacamini, reclutati in quanto idonei a introdursi per la pulizia nelle canne fumarie. La figura del piccolo spazzacamino che si ribella alle prepotenze della polizia austriaca nella Milano del 1848 è così divenuta anch’essa uno stereotipo della mitologia risorgimentale.

Al di là di questo, il Risorgimento italiano presenta fenomeni più strettamente inerenti al tema che stiamo esaminando, sui quali da poco sta crescendo l’attenzione di nuove generazioni di storici: mi riferisco al volontariato patriottico, mazziniano e garibaldino, che diede luogo a notevoli casi di mobilitazione adolescenziale e giovanile nelle insurrezioni e nelle guerre di indipendenza. Resta ancora molto da fare per mettere a fuoco queste vicende (specie per la fase precedente all’Unità), ma si sa che a partire almeno dal 1848 furono moltissimi i giovani e gli adolescenti che si arruolarono e si immolarono nella causa nazionale, democratica e repubblicana. Si trattava di giovani, anche sotto i 17 anni, che presero parte – non sempre come attori, talvolta come spettatori curiosi e appassionati – alla rivolta antiaustriaca di Milano cominciata nel gennaio e culminata nel marzo del 1848, per poi imbracciare le armi nella prima guerra di indipendenza (fu il cosiddetto “Battaglione degli Adolescenti”). E questo vale anche per gli studenti pisani, per quelli bolognesi, per quelli romani che parteciparono alla difesa della Repubblica fino al 1849. Ma non si trattava solo di studenti appartenenti a classi agiate. Gli studi in corso attestano la partecipazione alle vicende insurrezionali milanesi di giovanissimi ospiti dell’Orfanotrofio, mentre nel contesto delle Legazioni Pontificie comincia ad affiorare una documentazione sulla presenza di veri e propri battaglioni infantili, composti da scolari di età sotto i tredici anni e di diversa provenienza sociale, a quanto pare non frutto di inquadramento dall’alto[5].

2. La guerra negli occhi dei minori: testimonianze scritte e figurate

Fin qui abbiamo solo accennato ad alcune tra le forme di coinvolgimento dei minori nelle guerre. La fenomenologia è al riguardo – come detto – molto ampia. Non c’è solo la mobilitazione spontanea e la militarizzazione diretta, che riguarda soprattutto i maschi, ma tocca in qualche caso anche le femmine, se non altro nella forma dell’impulso a partecipare che assume forme surrogatorie e complementari come il volontariato infermieristico, e si spinge fino a suggerire pratiche di travestitismo (accade ad esempio per lo slancio patriottico sia nel corso delle battaglie risorgimentali, sia durante la Prima guerra mondiale, dove trova largo spazio nell’iconografia di propaganda). La guerra può essere vissuta dai piccoli e dagli adolescenti sia indirettamente attraverso l’esperienza familiare (l’arruolamento e l’andata al fronte di fratelli e genitori, la loro detenzione in prigionia e la morte), sia direttamente per la presenza nel teatro di guerra o nelle immediate retrovie: è il caso delle aree di frontiera, dove i piccoli e i giovanissimi assistono direttamente allo spettacolo della violenza e della morte in seguito ai movimenti degli eserciti contrapposti, o in quelle di occupazione, dove subiscono come gli adulti le vessazioni degli eserciti occupanti. Ma vale anche per ogni parte del territorio dal momento e fin dove giungano i mezzi di offesa: caso tipico quello dei bombardamenti a grande distanza (giunti oggi al livello dei missili intercontinentali) e della guerra aerea, che prende le mosse appunto dai cieli della prima guerra mondiale con l’uso dei dirigibili e poi degli aeroplani veri e propri e si sviluppa oggi nell’uso dei droni con guida programmata a distanza.

Su tutto questo, gli storici hanno lavorato e lavorano esplorando anche le fonti della soggettività, ossia le testimonianze dirette e personali dei protagonisti. Nel campo della vita infantile e adolescenziale si tratta di fonti che vengono esaminate sistematicamente solo da qualche decennio, e che hanno aperto squarci straordinari, largamente imprevisti, sull’esperienza di guerra. Mi riferisco alle scritture infantili e adolescenziali che sono essenzialmente le scritture scolastiche, ma anche quelle epistolari e diaristiche, spontanee o indotte.

Abbiamo già rapidamente segnalato il caso studiato da Audoin-Rouzeau, del giovinetto Yves Congar, il quale in effetti aveva preso la penna in mano sotto lo stimolo della madre (è quello che chiamiamo scrittura indotta, come il tema in classe o la lettera indirizzata a qualche autorità o personaggio pubblico), sviluppandolo in maniera del tutto autonoma e creativa. Vale la pena di richiamare – sempre a titolo di esempio e con riferimento al rapporto più o meno diretto con i teatri di guerra – quello di un altro bambino, di nome Giuseppe Boschet, friulano, che conobbe a quattro anni l’occupazione austro-tedesca dopo il disastro di Caporetto, la durezza dell’occupante insediato in casa sua, la coraggiosa resistenza della nonna alle sue prepotenze. E qualche anno dopo, frequentando a guerra finita la scuola elementare, su invito della maestra aveva ricordato in un componimento un episodio di quella vicenda. La maestra, colpita dalla vivacità della ricostruzione, aveva invitato il bambino a scrivere altri racconti sullo stesso tema, incoraggiandolo a non preoccuparsi troppo dell’ortografia (sulla quale poi sarebbe comunque intervenuta) e, in cambio, esentandolo dagli esercizi ordinari. Da questa trovata geniale di una maestra intraprendente nacque una serie di brevi componimenti di altissima forza comunicativa, conservati dalla famiglia e pubblicati in opuscolo dall’autore nella sua età matura: uno sguardo davvero “dal basso” (come usano dire gli storici) sulla guerra e sull’occupazione, e insieme uno degli esempi più belli – lo dico sapendo che è un’iperbole – per freschezza ed efficacia, di letteratura di guerra[6].

Naturalmente questo genere di testimonianze sono rare; molto meno lo sono le lettere degli scolari ai combattenti, agli eroi e ai martiri delle guerre, sollecitate dalle maestre e dai maestri in funzione di organizzazione del consenso, quindi viziate ovviamente dalle aspettative dei docenti: è il caso delle lettere indirizzate alla vedova di Cesare Battisti e alla madre dei fratelli Filzi, di cui ho fatto largo uso ne Il popolo bambino. E tuttavia – lo accenno soltanto per suggerire quanto delicato ma anche quanto efficace possa essere il lavoro dello storico – l’analisi della fonte riesce a identificare nei testi gli scarti, i fraintendimenti, gli eccessi di zelo o le involontarie deformazioni, grazie alle quali la soggettività dello scrivente può affiorare al di là della sua conformità alle aspettative e alle direttive degli adulti. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi si rivelano dunque frequentemente – per quanto sollecitati, sorvegliati, guidati – tutt’altro che interamente passivi, così come accade anche agli adulti nel caso in cui, per insufficiente apprendistato alla scrittura dovuto alla provenienza sociale, debbano attingere a modelli altri o imitare il linguaggio della propaganda, senza riuscire a farlo perfettamente, come accade nel celebre esempio delle “terre irredente”, che talvolta nelle lettere dei soldati diventano involontariamente ironiche “terre ridenti”[7].

A permetterci di entrare nel punto di vista di scriventi bambini o adolescenti possono esserci di molto aiuto anche i loro disegni, un linguaggio facilmente accessibile e spesso altamente rivelatore. «Uno dei temi ricorrenti dei disegni infantili – mi si permetta per semplificare di riprendere una citazione dalla mia nota appena menzionata – […] che alludono alle esperienze collettive del Novecento è quello delle guerre aeree e, in particolare, dei bombardamenti a scopo terroristico sulla popolazione civile. Diverse generazioni hanno vissuto e subìto questa esperienza, con tutti i suoi caratteri di spaventoso spettacolo della modernità. Dagli Zeppelin che sorvolano Londra nel 1916 agli aerei della Luftwaffe che radono al suolo Guernica o Coventry, a quelli alleati che danno fuoco a intere città come Amburgo o Dresda, la guerra totale conquista sempre nuovi spazi fisici e dell’immaginario». Per rimanere alla più stretta attualità, oggi si potrebbero evocare i bombardamenti russi su Kiev o quelli israeliani su Gaza, che hanno colpito la popolazione civile e al suo interno bambini e bambine, facendo centinaia di vittime.

A suggerirmi queste considerazioni era stato un documento tanto prezioso quanto curioso conservato nell’Imperial War Museum di Londra. Si tratta del disegno di un bambino inglese di nome Patrick, che accompagna una letterina di rassicurazioni indirizzata al padre per raccontare l’incursione di Zeppelin tedeschi avvenuta in una notte del settembre 1916, con la caduta di uno di essi nel prato di fronte alla sua casa. Quella notte, in una vasta area comprendente l’abitazione del bambino, furono sganciate circa cinquecento bombe. Svegliato nel cuore della notte da rumori, spari e bagliori, il bambino si precipita alla finestra e vede lo Zeppelin a terra tagliato in due, in fiamme, che scoppia e crepita, mentre gli uomini dell’equipaggio, inceneriti, appaiono immobili, e scuri – annota – «come la parte esterna del Roast Beef»[8]. Grazie alla sua testimonianza fatta di parole e immagini, lo sguardo del bambino sulla Prima guerra totale entra con tutta la sua forza nella ricostruzione degli eventi, testimoniando un aspetto tipico della storia del Novecento.

Sui disegni dei minori, dentro o fuori dell’attività scolastica quali fonti storiche riferite al tema del loro coinvolgimento nell’esperienza delle guerre e dei regimi totalitari (così come sui loro giochi e giocattoli), esiste una vasta letteratura che non possiamo esaminare nei limiti di questa nota[9]. In tutti i casi si conferma che le testimonianze di bambini e bambine, ragazzi e ragazze non recano solo l’impronta della manipolazione adulta, ma ci parlano anche d’altro: «raccontano strategie di sopravvivenza e forme di resistenza, segnalano non solo la passività ma l’attività, talvolta la complicità, non solo l’assimilazione ma la risposta, la rielaborazione dei messaggi adulti, il tentativo di piegarli a loro usi e scopi. Tratteggiano, come si è detto […] attori e non soltanto vittime, strumenti o testimoni. Per questo val la pena di occuparsi di loro»[10].

Post scriptum

Nei giorni in cui scrivo queste note, si sta consumando, nel teatro di guerra mediorientale, l’ennesimo episodio – uno dei più atroci e feroci – di guerra dei bambini. Una guerra “tra bambini”, per la precisione “tra bambini uccisi”, usati come bersaglio privilegiato e arma della propaganda di guerra. I bambini sterminati dall’aggressione terrorista di Hamas sul territorio israeliano e i bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza e dal blocco totale dei rifornimenti di cibo, acqua, energia elettrica e carburante decretato dal governo di Israele. Sono in entrambi i casi bambini e bambine di cui non avremo mai le testimonianze, ma che in quanto tali ci parlano del degrado della civiltà europea e mondiale, uscita dalle Seconda guerra mondiale con un solenne “mai più” ormai largamente violato.

Bibliografia

  1. Aries P., L’enfant et la vie familiale sous l’Ancient Régime, Plon, Paris, 1960
  2. Assereto G., Il mal della pietra. L’insurrezione genovese del 1746 e la controversia su Balilla, in Bitossi C. e Paolocci C. (a cura di), Genova, 1746: una città di antico regime tra guerra e rivolta, Genova, 1998, pp. 183-208
  3. Audoin-Rouzeau S., La guerre des enfants 1914-1918, Armand Colin, Paris, 1994
  4. Becchi E. e Julia D., Storia dell’infanzia. Dall’Antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1996
  5. Bourke J., The Second world War. A People’s History, Oxford University Press, Oxford 2001
  6. Brauner A. e F., Ho disegnato la guerra. I disegni dei bambini dalla Prima guerra mondiale a DesertStorm, Erickson, Trento, 2003
  7. Colin M., “Les enfants de Mussolini”. Littérature, livres, lectures d’enfance et de jeunesse sous le fascisme. De la Grande Guerre à la chute du régime, Presses universitaires de Caen, Caen, 2010
  8. CongarY., L’Enfant Yves Congar. Journal de la Guerre 1914-1918, Notes et commentaires par Stéphane Audoin-Rouzeau et Dominique Congar, Les Éditions du Cerf, Paris, 1997
  9. Cox C., Boy Soldiers of the American Revolution, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 2016
  10. Gabrielli P., La guerra è l’unico pensiero che ci domina tutti. Bambini, bambine, adolescenti nella Grande Guerra, Rubbettino, 2018
  11. Gabrielli P., Se verrà la guerra chi ci salverà? Lo sguardo dei bambini sulla guerra totale, Il Mulino, Bologna 2021
  12. Gibelli A., Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Einaudi, Torino, 2005
  13. Gibelli A., Bambini, bambine e storia del Novecento: testimonianze scritte e figurate, in Contemporanea, a. XIII (2010), n. 2, pp. 385-397
  14. Gibelli A., Nefaste meraviglie. Grande Guerra e apoteosi della modernità, in Barberis W. (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 18, Guerra e pace, Einaudi, Torino, 2002, pp. 586-587
  15. Maida B., L’infanzia nelle guerre del Novecento, Einaudi, Torino, 2017
  16. Pignot M., Allons enfants de la Patrie. Génération Grande Guerre, Seuil, Paris, 2012
  17. Polenghi S., Fanciulli soldati. La militarizzazione dell’infanzia abbandonata nell’Europa moderna, Carocci, Roma, 2003
  18. Sierra Blas V., Palabrashuérfanas. Los niňos e la Guerra Civil, Taurus, Madrid, 2009
  19. Startgard N., Witnesses of War: Children’s Lives under the Nazis, Jonathan Cape, 2005 (trad.it. La guerra dei bambini. Infanzia e vita quotidiana durante il nazismo, Mondadori, Milano, 2006)

>>> Per scaricare il fascicolo 1 della Rivista, pubblicato il 1 settembre 2024, clicca qui.

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note

[1]La delimitazione delle categorie di infanzia, adolescenza, giovinezza e simili è intrinsecamente labile e notoriamente variabile secondo i contesti sociali, le epoche, i punti di vista disciplinari e istituzionali, sicché non vale la pena di accapigliarsi in tentativi di definizione rigida e univoca. La più semplice distinzione è quella generale, anche se sommaria, tra minori e adulti. In questa nota utilizzo di volta in volta in maniera puramente indicativa entrambe le soluzioni.

[2]Vedi Maida B., L’infanzia nelle guerre del Novecento, Einaudi, Torino, 2017, p. 27.

[3] Bourke J., The Second World War. A People’s History, Oxford University Press, Oxford, 2001, p. 18 (trad. mia).

[4] Si veda Assereto G., Il mal della pietra. L’insurrezione genovese del 1746 e la controversia su Balilla, in Bitossi C. e Paolocci C. (a cura di), Genova, 1746. Una città di antico regime tra guerra e rivolta, Genova, 1998, pp. 183-208.

[5] Attingo queste informazioni da una ricerca in fieri, condotta da Margherita Acciaro per la sua tesi di dottorato in corso presso l’Università di Pisa, tutor il Prof. Gian Luca Fruci, della quale si è data notizia nel corso di un incontro pubblico promosso dalla SISSCO (Società italiana per lo studio della storia contemporanea) e tenutosi a Pisa il 29 maggio del 2023. Ringrazio la candidata, il relatore e la Professoressa Vizia Forino, curatrice dell’incontro per conto della SISSCO, per avermi coinvolto nella conoscenza e nella discussione del programma di ricerca di Acciaro.

[6] Si veda Gibelli A., Il popolo bambino… cit., pp.153-158.

[7] Su tali aspetti metodologici mi ero soffermato sia ne Il popolo bambino… cit., sia nella nota Bambini, bambine e storia del Novecento: testimonianze scritte e figurate, in Contemporanea, a. XIII (2010), n. 2, pp. 385-397.

[8] Riferimenti al documento nella nota citata sopra (alle pp. 392-393) con la riproduzione del disegno, ed anche nel mio Nefaste meraviglie. Grande Guerra e apoteosi della modernità, in Barberis W. (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 18, Guerra e pace, Einaudi, Torino, 2002, pp 586-587.

[9] Mi permetto perciò anche in questo caso di rinviare alla mia nota Bambini e bambine… cit., pp. 390-397 oltre a citare Brauner A. e F., Ho disegnato la guerra. I disegni dei bambini dalla Prima guerra mondiale a Desert Storm, Erickson, Trento, 2003.

[10] Ivi, p. 397.

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