(Foto di Republica da Pixabay)
La differenza che corre tra l’uomo che usava la clava nell’Età della Pietra e lo studente allucinato del college americano che fa strage di alunni e professori riguarda la consapevolezza del gesto rapportata ai due diversi contesti di vita: in genere il primo uccideva per sopravvivere e procacciarsi il cibo mentre il secondo – salvo cervellotiche spiegazioni sulla capacità di intendere e di volere – compie, in genere, un gesto di deliberata violenza.
Vero è che gli esseri umani (adulti o minori che siano) sono condizionati nell’agire, ma è altrettanto vero che è sul livello/grado di questi condizionamenti che occorre riflettere attentamente.
Inoltre, nella preistoria non esistevano regole, oggi ne esistono una pletora infinita: il problema è se queste regole sono giuste e, poi, se vengono rispettate.
A cosa sono serviti, allora, millenni e secoli di lezioni della storia se la violenza fisica e simbolica si perpetua all’infinito anche nelle cosiddette società evolute?
Se ci fosse progresso in ogni campo dei comportamenti umani l’etica applicata alla vita dovrebbe generare uomini migliori. Non è così, purtroppo, e di questo ne siamo tutti artefici, osserva Francesco Provinciali in una sua recente riflessione (F. Provinciali, La coscienza come conquista e valore dei comportamenti umani, in Il Domani d’Italia, 3 maggio 2023).
Basti pensare ai milioni di morti a causa delle guerre e della crudeltà degli ultimi cent’anni, alle endemiche condizioni di povertà estrema, alla fame e alle malattie, alle migrazioni disperate, alla crescita demografica che satura la sostenibilità del pianeta, ai soprusi e alle nascoste solitudini di adulti e bambini.
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