(Foto di Anemone123 da Pixabay)
Ultimamente, le cronache giornalistiche riportano casi di violenza, non isolati, che riguardano i minori come autori o come vittime di reati.
Le ragioni, alla base di tali comportamenti, possono essere molte, tra cui anche il disagio psichico, le difficoltà relazionali e l’inadeguatezza dei contesti familiari. Ad esempio, ci sono padri e madri che scaricano sui figli le proprie frustrazioni esistenziali o più semplicemente la propria immaturità e incapacità genitoriale; ci sono poi, però, anche figli che maltrattano i propri parenti, minacciandoli o aggredendoli, per soddisfare i più bizzarri “capricci” oppure per ribellarsi a certe situazioni che non riescono più a tollerare.
Per molti operatori, l’esperienza dell’ascolto del minore è fonte di conoscenza di una molteplicità di situazioni che spaziano dal disagio familiare a contesti promiscui dove un figlio è spesso motivo di disturbo o addirittura di ostacolo al delirante abbandono alle pulsioni di egoismo e narcisismo sfrenato degli adulti.
Quanto tutto questo si ripercuota – nel migliore dei casi – sull’insuccesso formativo e sul fallimento scolastico dei minori lo si deduce dalle segnalazioni che i servizi sociali o gli stessi istituti inoltrano alle autorità giudiziarie minorili a partire dalla scuola dell’infanzia.
Ad ogni modo, in questa sede si vuole ricordare che Gilbert Cesbron aveva scritto, sul tema del disagio e delle fragilità minorili, un libro eloquente dal titolo “Cani perduti senza collare”, ambientato nell’immediato dopoguerra. La figura del giudice minorile Julien Lamy – che sta sullo sfondo delle vicende narrate – riassume l’atteggiamento più efficace che il mondo adulto può avere nei confronti degli adolescenti: quello di essere capace di ascoltare, conoscere e spiegare, nonché di utilizzare l’esempio destreggiandosi tra benevolenza e dovere di far rispettare le regole.
___________________
>>> Per ulteriori riflessioni sul tema leggi qui.