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16 Settembre 2024
Paolo Migone

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La psicoanalisi e la guerra. A sessant’anni dal contributo di Franco Fornari

PSICOLOGIA

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Fascicolo 01

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Abstract Italiano

Sulla scorta del caso clinico di una paziente con diversi disturbi nevrotici che aveva mostrato la scomparsa di tutti i sintomi durante un periodo di guerra e la loro ricomparsa alla fine della stessa (si trattava della guerra del Golfo del 1990-91), vengono fatte alcune riflessioni sul temporaneo benessere che può comparire grazie alla proiezione di angosce interne su un pericolo reale esterno. Questa ipotesi psicodinamica, di derivazione kleiniana, viene discussa con considerazioni anche sul disturbo da stress post-traumatico (PTSD), sul lutto e sull’effetto simile che possono avere altri eventi traumatici, come calamità naturali e malattie gravi.

Abstract English

 In the wake of a clinical case of a patient with various neurotic disorders, a case which had shown the disappearance of all symptoms during a period of war but their reappearance at the end of the war (this concerned the Gulf War of 1990-91), some thoughts on the temporary well-being which can appear thanks to the projection of internal anxiety on a real external danger are presented. This psychodynamic hypothesis, of a Kleinian derivation, will also be discussed in conjunction with some considerations on Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), on mourning, and on the similar effect that other traumatic events can have, such as natural calamities and serious illnesses.

Abstract Français

A la suite d’un cas clinique d’un patient atteint de divers troubles névrotiques, cas qui avait montré la disparition de tous les symptômes pendant une période de guerre mais leur réapparition à la fin de la guerre (il s’agissait de la guerre du Golfe de 1990-91), quelques réflexions sont faites sur le bien-être passager qui peut apparaître grâce à la projection d’une anxiété intérieure sur un danger extérieur réel. Cette hypothèse psychodynamique, d’origine kleinienne, est également discutée en conjonction avec quelques considérations sur le trouble de stress post-traumatique (SSPT), sur le deuil et sur l’effet similaire que peuvent avoir d’autres événements traumatisants, tels que les calamités naturelles et les maladies graves.

Abstract Español

 A partir del caso clínico de un paciente con diversos trastornos neuróticos que había mostrado la desaparición de todos los síntomas durante un período de guerra y su reaparición al final de la guerra (la Guerra del Golfo de 1990-91), se hacen algunas reflexiones sobre el bienestar temporal que puede aparecer gracias a la proyección de una angustia interna sobre un peligro externo real. Esta hipótesis psicodinámica, de derivación kleiniana, también se discute con consideraciones sobre el trastorno de estrés postraumático (TEPT), el duelo y el efecto similar que pueden tener otros eventos traumáticos, como desastres naturales y enfermedades graves.

SOMMARIO:
1. Una premessa – 2. Alcune riflessioni cliniche – 3. Bibliografia

1. Una premessa

Sono passati esattamente sessant’anni da quando Franco Fornari lesse la relazione intitolata Psicoanalisi della guerra al XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze che si tenne all’Università Statale di Milano il 16-19 maggio 1964; due anni dopo, nel 1966, ampliò quella relazione e la pubblicò nel noto libro Psicoanalisi della guerra, tradotto in varie lingue. In quel congresso, i cui Atti furono pubblicati sulla Rivista di Psicoanalisi con la introduzione di Nicola Perrotti (1964), Fornari (1964a) aveva tenuto la seconda relazione principale dopo quella di René Diatkine (1964) che si intitolava Aggressività e fantasie inconsce di aggressione, cui seguì un dibattito (Fornari, 1964b). La relazione di Fornari suscitò molto interesse, al punto che ad esempio André Green, uno degli analisti più autorevoli dell’International Psychoanalytic Association (IPA), la definì come il più importante contributo di psicoanalisi applicata dopo gli scritti di Freud: «Io non esito a dire che il suo lavoro mi pare il più importante, su questo problema, dopo Il disagio della civiltà» (Green, 1964, p. 292).

Il congresso aveva come tema i problemi dell’aggressività umana e della guerra, e fu inaugurato dalle parole di benvenuto di Cesare Musatti e di Emilio Servadio. Perrotti, nella sua introduzione, aveva ricordato che già nel 1950 il tema dell’aggressività era stato affrontato al Secondo congresso italiano di psicoanalisi, dove aveva trattato la parte teorica mentre Servadio aveva discusso l’aggressività nelle nevrosi. Il tema era molto sentito perché allora era ancora vivo il ricordo delle terribili vicende della guerra con i suoi orrori. Tra i problemi sul tappeto vi erano i seguenti: esiste un istinto aggressivo e, nel caso, è espressione di un ipotetico istinto di morte? Che rapporto hanno tra loro l’auto-aggressività e l’etero-aggressività, e l’istinto aggressivo e quello sessuale? L’aggressività può essere “sublimata” e trasformata in comportamenti prosociali? Questi temi coinvolgevano non solo psicologi e psichiatri ma anche politici, filosofi, moralisti e sociologi (al congresso del 1964 era stato invitato ad esempio anche il sociologo Francesco Alberoni, che intervenne al dibattito).

Sono passati quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e, tristemente, oggi ci troviamo ancora di fronte a uno scenario di guerra che non ci saremmo aspettati, con crudeltà che molti pensavano non si sarebbero più viste. Freud aveva riflettuto sulla guerra, ad esempio in Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, scritto nel 1915 all’indomani dello scoppio della Prima guerra mondiale, e poi nel 1920 in Al di là del principio di piacere, in cui, per spiegare il fenomeno della guerra e anche di alcuni dati clinici difficilmente comprensibili (come ad esempio il masochismo), arrivò a postulare – peraltro con considerazioni anche filosofiche – un «istinto di morte», che oggi in genere viene giudicato non più sostenibile e che peraltro già non fu accettato dalla maggior parte del movimento psicoanalitico di allora. Tornò sul tema della guerra poi nel 1932 nel carteggio con Einstein, intitolato Perché la guerra?

L’idea di una motivazione autodistruttiva interiore, appunto di un istinto, fu raccolta in particolare dal movimento kleiniano sulla base anche di interessanti riflessioni cliniche, mentre altre correnti – come ad esempio quelle neofreudiane, interpersonali, relazionali, etc. (si pensi ad esempio al classico di Erich Fromm [1973] Anatomia della distruttività umana) – la respinsero in modo deciso dato che tendevano a spiegarla come una comprensibile reazione alla frustrazione dovuta a eventi esterni traumatici, concependola quindi come una reazione motivata non internamente ma esternamente. Fornari approfondì l’idea dell’aggressività come generata internamente, e non a caso era un importante esponente del kleinismo in Italia (come peraltro la maggioranza degli psicoanalisti italiani, per lo meno quelli della società psicoanalitica affiliata all’IPA, probabilmente per l’influenza della scuola inglese i cui esponenti ebbero un importante ruolo nella formazione di più di una generazione di colleghi). Infatti Fornari parlava di una sorta di “terrificante interno” che provoca continue angosce persecutorie che devono per forza essere proiettate all’esterno, così che vengono esteriorizzate nella figura di un altro vissuto paranoicamente come nemico. Da qui la guerra come processo psicotico di massa, come difesa dalle angosce depressive e persecutorie legate al nostro “terrificante interno”. Nella guerra quindi l’uomo non si difenderebbe da un nemico esterno reale, ma da uno spaventoso nemico interno al quale – dice Fornari – Freud (1920, p. 229) diede il nome di “istinto di morte” (Todestrieb).

Sono stati soprattutto i seguaci di Melanie Klein quelli che hanno approfondito queste intuizioni e le hanno elaborate teoricamente (si pensi solo al concetto di “identificazione proiettiva”, la cui utilità clinica è stata ritenuta estremamente importante da generazioni di psicoanalisti).

Come possiamo però far calare nella clinica queste intuizioni? Come possiamo renderle vive e non farle rimanere solo speculazioni astratte? Proprio allo scopo di mostrare la possibile utilità di certe teorizzazioni kleiniane, voglio presentare alcuni esempi clinici, sulla base anche di un lavoro precedente (Migone, 2023). Ovviamente non vi è alcuna pretesa di dimostrare la “verità” di determinate concettualizzazioni (non occorre essere filosofi della scienza per sapere quanto è arduo dimostrare la “validità” delle nostre ipotesi teoriche), ma solo di fornire alcune suggestioni, di far riflettere su certi dati clinici che a volte ci sorprendono e, potremmo dire, anche ci affascinano.

2. Alcune riflessioni cliniche

Anni fa seguivo una paziente di 35 anni affetta da una variegata sintomatologia caratterizzata da ansie, fobie, paure di vario tipo, alcuni brevi episodi quasi deliranti, paranoie passeggere, sogni terrorizzanti, incapacità di provare attrazione e piacere sessuale in relazioni monogamiche, etc. Ad esempio non poteva avere rapporti sessuali col marito, che sentiva di non amare e da cui non era attratta, ma provava un forte coinvolgimento sentimentale e fisico con un amante; il marito, quando si accorse di questa relazione extra-coniugale, decise di separarsi, però la paziente oppose una forte resistenza e subito dopo la separazione, che il marito portò avanti con decisione, provò un forte desiderio per il marito e contemporaneamente non provò più alcun sentimento né attrazione fisica per l’amante che prima desiderava così tanto. Negli anni successivi riuscì comunque – grazie anche alla terapia – a mantenere il rapporto col suo ex-amante, seppur con enormi ansie e difficoltà, dovendo anche stare attenta a non ricadere nella tentazione di intrecciare un legame clandestino con un altro uomo, esattamente come quando era sposata e desiderava l’amante e attuale compagno (ed ebbi la forte sensazione che ci fosse riuscita grazie a un nuovo triangolo che si era venuto a creare, in cui io rappresentavo il terzo polo, come fossi una sorta di “amante”, dato anche l’investimento affettivo che aveva per me); non riuscì comunque ad andare a convivere con l’ex-amante se non dopo diversi anni perché ne era spaventata, e i sentimenti di amore e attrazione sessuale verso di lui non comparvero più se non in rarissime occasioni (le veniva voglia di fare l’amore solo a volte quando era in vacanza, o quando avevano un conoscente che dormiva nella camera degli ospiti per cui temeva che sentisse il cigolio del letto – proprio in quel caso desiderava avere un rapporto sessuale, cercando di fare in modo che l’ospite non se ne accorgesse…). Ma non voglio approfondire la descrizione di questo interessante caso clinico e del modo con cui si svolse la terapia (che durò dieci anni e terminò con un discreto miglioramento) perché intendo soffermarmi solo su una parte del materiale clinico che ci permette di fare alcune riflessioni sui significati psicologici che può assumere la guerra (per una interessante discussione della inibizione sessuale in relazioni monogamiche, quella che Freud [1912] chiamò “impotenza psichica”, rimando a Eagle [2005]).

Questa terapia era iniziata nel 1985, e terminò alla fine del 1995, per cui potei osservare la reazione psicologica di questa paziente nei confronti della guerra del Golfo, che avvenne tra il 1990 e il 1991. La paziente apparteneva alla categoria di persone che erano terrorizzate da quella guerra, che temevano potesse coinvolgere anche l’Italia e che – come si leggeva anche sui giornali – ad esempio andavano al supermercato per fare scorta di viveri. Ebbene, la mia sorpresa fu grande quando vidi la sua reazione al momento dell’effettivo scoppio della guerra: mentre io temevo che le sue condizioni peggiorassero ancor di più, lei improvvisamente si calmò, apparve serena, e tutti i suoi sintomi sparirono. Le venne voglia di fare l’amore col suo compagno, viveva sentimenti di amore e attrazione sessuale senza alcuna conflittualità, non vi erano più fobie, ansie o paranoie di alcun tipo, era serena ed efficiente al lavoro, sempre di buon umore. Insomma, passò il periodo più bello della sua vita. Immediatamente, io e la stessa paziente (che era una psicologa, con un incarico di responsabilità in un Dipartimento di Salute Mentale) intuimmo che era in atto una importante dinamica psicologica, e ricordo che infatti le dissi, con anche un po’ di ironia, che “purtroppo”, quando da lì a poco sarebbe “scoppiata la pace”, tutto sarebbe tornato come prima. E questo puntualmente si verificò: quando a fine febbraio 1991 cessò la guerra del Golfo, alla paziente tornarono tali e quali tutti i sintomi che aveva prima (assenza di desiderio sessuale, fobie, ansie di vario tipo, etc.).

Come possiamo spiegare questa interessante psicodinamica? L’osservazione di questi fenomeni che possono sembrare paradossali non è nuova. Ricordo di aver letto sui giornali che dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 molti dei sopravvissuti dicevano che mai come allora avevano provato sentimenti di coesione, nelle tendopoli si sentivano uniti, come se l’avversità esterna avesse permesso la riscoperta di sentimenti che prima non provavano. Ed è noto che non solo durante calamità naturali, ma anche in tempo di guerra le depressioni sono meno frequenti, e i disturbi mentali diminuiscono per poi ricomparire quando torna la pace. Ricordo che subito dopo la fine della guerra nella ex-Jugoslavia (una delle più crudeli dopo la Seconda guerra mondiale, con casi di omicidi in massa e pulizia etnica) vi fu un alto numero di suicidi tra i soldati, come se tanti di loro, che erano compensati durante i combattimenti, si fossero scompensati quando non c’era più un nemico da combattere. Questa peraltro è la stessa dinamica che osserviamo nel disturbo da stress post-traumatico (PTSD), nel quale il soldato si ammala, a volte anche gravemente, quando torna a casa, non in guerra dove deve combattere per difendere la vita. I flash-back, gli incubi, i ricordi improvvisi e dolorosi, la depressione, etc. non avvengono al fronte, ma dopo, nei mesi e anni seguenti quando è con la famiglia e in una condizione di sicurezza.

Sono state fatte varie ipotesi per spiegare questo dato clinico, ne menziono una: certe emozioni molto dolorose non possono essere espresse in condizioni di pericolo perché tutte le energie vengono già impiegate per combatterlo, ma possono essere espresse e ricordate solo dopo, quando sulla base della nuova condizione di sicurezza, quindi di maggiore forza dell’Io, il paziente può finalmente permettersi di farle emergere per rielaborarle, un processo psicologico di cui ha molto bisogno. A volte anche i sogni terrorizzanti compaiono, paradossalmente, proprio quando dopo un periodo molto difficile una persona finalmente incomincia a stare bene, mentre non comparivano (o non erano ricordati) quando era in stato di sofferenza. Voglio a questo riguardo raccontare un esempio clinico che mi colpì (cfr. Migone, 2005; Quinodoz, 1999, 2002).

Una mia paziente sognava tutte le notti, con angoscia, di essere lasciata dal ragazzo. Era in una terapia di gruppo, e raccontò questo incubo in risposta ad un’altra partecipante che le aveva chiesto se lei sognasse, quando già altri avevano parlato dei propri sogni. Dopo aver riferito questo suo incubo ricorrente, immediatamente altri membri del gruppo le chiesero come andava col ragazzo, e se lui le avesse mai detto di volerla lasciare. Lei rispose che la relazione col ragazzo andava benissimo, e che era certa che lui non l’avrebbe mai lasciata. Di fronte a questo sogno paradossale, tutti rimasero interdetti e non seppero cosa dire. Presi allora io la parola, e le chiesi quando era iniziato questo incubo (usai cioè il metodo diacronico, come spesso si fa in psicoterapia per comprendere la dinamica di certi sintomi). Inizialmente la ragazza disse di non ricordarlo, però, dopo averci pensato un po’, realizzò che era iniziato circa otto mesi prima; le chiesi allora se per caso in quel periodo fosse successo qualcosa di particolare, e lei rispose che non era successo niente, e che proprio non capiva perché avesse iniziato ad avere questi brutti incubi. A questo punto, vedendo anche che il gruppo rimaneva in silenzio, le chiesi se per caso lei avesse sempre avuto un rapporto molto sicuro con quel ragazzo, e lei subito rispose che assolutamente non era così, infatti in passato lui non si sentiva sicuro del loro rapporto e quasi quotidianamente le diceva che avrebbe potuto lasciarla, la qual cosa la terrorizzava perché gli era molto legata (mi colpì anche il fatto che lei usò le stesse parole che lui le diceva in quei sogni ricorrenti). Le chiesi allora come mai il ragazzo a un certo punto era cambiato, e quanto tempo fa. Lei rispose che una volta era successa una determinata esperienza tra di loro per cui lui aveva capito che lei era la donna della sua vita e che non l’avrebbe mai lasciata, e la paziente sentiva che questa cosa era vera, per cui da allora lei non ebbe più paura della separazione e stette sempre bene con lui. A questo punto, ovviamente, non rimaneva che da chiederle quando era successo questo episodio, ma lei non ricordava la data; insistetti un po’, e finalmente riuscì a ricostruire che era successo otto mesi prima! Con nostra sorpresa, quindi, scoprimmo che la ragazza aveva incominciato ad avere gli incubi proprio dal momento in cui fu rassicurata dal ragazzo, cioè che i brutti sogni erano iniziati, paradossalmente, quando aveva incominciato a stare bene.

Fin qui il dato clinico: come interpretarlo? È ovvio che sarebbe assurdo pensare, seguendo alla lettera l’ipotesi freudiana secondo la quale i sogni sono l’espressione di un desiderio (e non è da escludere che qualche terapeuta possa arrivare a farla), che lei con questi sogni esprimesse il desiderio inconscio di essere lasciata dal ragazzo, anche perché la paziente si diceva certa, senza alcuna ambivalenza, del suo desiderio di restare con lui. Quella che va spiegata, peraltro, non è solo l’insorgenza degli incubi proprio subito dopo l’instaurarsi di una condizione di sicurezza, ma anche l’assenza di quegli stessi incubi (o il fatto di non ricordarli) quando stava male. Per motivi di spazio non posso qui esporre tutte le argomentazioni con cui arrivai alla mia ipotesi, e che discussi anche in un dibattito sull’International Journal of Psychoanalysis (Williams, 1999), che in breve fu la seguente. Il lungo periodo di sofferenza in cui il ragazzo minacciava di abbandonarla aveva rappresentato per la paziente un trauma che aveva lasciato una traccia, una cicatrice emotiva dentro di lei. Durante quel periodo la paziente non faceva brutti sogni (o, come si è detto, li faceva ma non poteva permettersi di ricordarli) perché già doveva fronteggiare costantemente nella vita diurna una situazione difficile. Gli “incubi” erano già le sue giornate, non c’era bisogno di averne altri anche nel sonno, e poi forse doveva risparmiare le sue energie per lottare quotidianamente contro quel dolore (un po’ come il soldato in guerra cui si accennava prima, che non si ammala al fronte ma quando torna a casa). Una volta raggiunta una sensazione di sicurezza, un «feeling of safety» (Sandler, 1960, p. 352), poté finalmente lasciarsi andare e permettersi di provare tutte quelle emozioni dolorose che prima aveva dovuto rimuovere perché si trovava in uno stato di pericolo, di difesa. I sogni rappresentavano quindi un modo per far riemergere queste emozioni, per rielaborare questo lutto di cui aveva tanto bisogno.

La stessa psicodinamica infatti avviene nel lutto, quando in un primo periodo si è spesso bloccati emotivamente (questa difesa è adattiva, perché si deve far fronte a varie necessità, organizzare il funerale, etc.), e poi, dopo un po’ di tempo, può esplodere un grande dolore (questa regolazione automatica e inconscia delle difese è una funzione dell’Io, e nella storia della psicoanalisi fu studiata a partire dagli anni 1930-40 quando si diffuse la Psicologia dell’Io inaugurata da Heinz Hartmann e collaboratori [Hartmann, 1937, 1964; Hartmann, Kris & Lowenstein, 1964]). Una dinamica simile è quella descritta anche in varie ricerche sulla control-mastery theory (dove i termini control e mastery si riferiscono appunto alla regolazione delle difese) formulata dal San Francisco Psychotherapy Research Group che era guidato da Weiss e Sampson (Weiss, 1986, 1990, 1993; Weiss & Sampson, 1999; cfr. Migone, 1993b, 1995b; Gazzillo, 2016); si pensi ad esempio al concetto di “pianto al lieto fine” (Weiss, 1952) col quale il paziente finalmente, in una condizione di sicurezza, può far emergere le emozioni dolorose che prima non aveva potuto permettersi di provare (un esempio, che peraltro fu quello da cui Weiss [1952] partì nel suo percorso di ricerca, è rappresentato dalle lacrime che possono sgorgare negli spettatori di un film quando le cose finiscono bene – il soldato torna dalla guerra, gli amanti si riuniscono, etc. – mentre durante le scene drammatiche nessuno piange). E per tanti pazienti la psicoterapia stessa può rappresentare questa condizione di sicurezza in cui finalmente rielaborano temi che prima non potevano permettersi di affrontare, e possono anche lasciarsi andare e piangere molto, in quello che a certi terapeuti poco preparati può sembrare un peggioramento mentre sappiamo che è un miglioramento, o anche un tipo di “regressione al servizio dell’Io” di cui parlò Kris (1934). In questo senso, come dicevano Weiss e Sampson, per alcuni pazienti anche la psicoterapia – come condizione di sicurezza (Sandler, 1960) – può rappresentare un “grande pianto al lieto fine”.

Certe intuizioni psicoanalitiche che non fanno riferimento alla Psicologia dell’Io ma maggiormente alla scuola kleiniana ci possono fornire ulteriori interessanti ipotesi. La certezza che esiste un male “reale” può dare un momentaneo benessere nella misura in cui il paziente ha una angoscia persecutoria interna, la quale viene così facilmente “proiettata” all’esterno, nel senso che il paziente si rassicura che il male è fuori di lui, cosa che gli permette di deflettere l’attenzione da quello più minaccioso che teme di avere dentro (si veda a questo proposito il concetto psicoanalitico, prima menzionato, di “identificazione proiettiva”; Migone, 1988, 1993a). In altre parole, il paziente depresso o affetto da croniche angosce persecutorie (come può essere stato il caso della mia paziente descritta prima) nel momento in cui vede che vi è un reale pericolo esterno si calma perché gli sembra che non sia più interno; sarebbe come se il paziente dicesse a se stesso che la “colpa non è più sua ma di qualcun altro”. Nel linguaggio kleiniano o della scuola psicoanalitica delle relazioni oggettuali, ora il paziente non si sente più “cattivo”, ma può sentirsi “tutto buono”, perché il male è “tutto fuori”. Secondo alcune ipotesi kleiniane, sembra insomma che “il Male” al mondo da qualche parte debba esserci, dentro di noi o fuori di noi, e che dobbiamo usare delle strategie per difenderci.

Del resto, è ben nota la teoria del capro espiatorio (il colpevole è un altro, che va combattuto per distogliere l’attenzione da se stessi – si veda, tra i tanti esempi, il caso dell’omofobia), e si sa che certe guerre sono state dichiarate proprio allo scopo di distogliere l’attenzione da crisi interne (depressione economica, scontento della popolazione, etc.) e compattare l’intera nazione su un nemico esterno che va combattuto (ad esempio, secondo vari commentatori politici la guerra delle isole Falkland del 1982 fu dichiarata dall’Argentina proprio perché in quegli anni vi era una grave crisi economica). E sono ben noti i casi di paranoici che si tranquillizzano nella misura in cui trovano un nemico reale esterno, e peggiorano (a volte fino a scompensarsi) quando il nemico non si comporta come tale o non risponde alle loro provocazioni (tanto che sembra che cerchino a tutti i costi un nemico, o che provochino il prossimo fino a indurlo ad aggredirlo o a perseguitarlo). Interessanti a questo proposito sono anche le riflessioni di Freud (1917) sui “criminali per senso di colpa”.

Una simile psicodinamica è stata osservata anche nel caso di pazienti terminali o con gravi malattie fisiche. Come è stato documentato in vari casi (Nichols, 1985, 1987; Blechner, 1993; cfr. Migone, 1994, 2003, 2006), un paziente che apprende di avere una malattia grave o potenzialmente terminale può rispondere in modo paradossale riunendo le sue forze per combattere la malattia che ora è più oggettivabile come malattia somatica, non psicologica; sarebbe come se il paziente dicesse a se stesso che la “colpa non è più sua ma della malattia”. Blechner (1993), ad esempio, riporta il caso di uno scrittore, malato di AIDS, che aveva sempre avuto problemi nella vita (come idee depressive e suicidarie) e che nei tre anni successivi alla diagnosi di AIDS riuscì a pubblicare due libri, a scrivere vari articoli e a mantenere una profonda e stabile relazione sentimentale per la prima volta in vita sua. Molto interessanti sono anche le osservazioni di Perry (1983, 2013) sul “bisogno di dolore”, cioè sul bisogno di stimolazioni fisiche forti e spesso dolorose per alleviare una sensazione interiore – ben più dolorosa – di vuoto e mancanza di identità (il lavoro di Perry si riferiva ai grandi ustionati, ma queste osservazioni sono molto attuali a proposito dei tagli e dei gesti di autolesionismo cui alcuni pazienti con disturbi gravi di personalità ricorrono per avere un po’ di sollievo da un malessere interiore che diminuisce nella misura in cui viene “proiettato” sul corpo).

Ho fatto, in modo discorsivo, alcune riflessioni sulla guerra dal punto di vista psicoanalitico, però a ben vedere non riguardano solo la guerra in quanto tale, ma la guerra che come evento traumatico può essere considerata omologa ad altri eventi che attivano dinamiche simili e che ci fanno riflettere su determinate sintomatologie. E alcune teorizzazioni psicoanalitiche, in particolare kleiniane, discusse anche da Franco Fornari sessant’anni fa, possono rivelarsi utili per formulare ipotesi allo scopo di comprendere certi aspetti del comportamento umano.

3. Bibliografia

  • Blechner M.J., Psychoanalysis and HIV disease in Contemporary Psychoanalysis, 29, 1993, 1, 61-80
  • Diatkine R., Aggressività e fantasie inconsce di aggressione (Relazione al XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze, Milano, 16-19 maggio 1964) in Rivista di Psicoanalisi, 10, 2, 1964 pp. 111-180 (Interventi, comunicazioni, replica [con contributi di: Michel Gressot; S. A. Shentoub; Isidoro Tolentino, Roberto Tagliacozzo e Sergio Bordi; Eveline e Jean Kestemberg; Yves Dalibard; Manuel Garcia Barroso; Michel Cénac; Jean-Louis Courchet; René Diatkine] in Rivista di Psicoanalisi, 10, 2, pp. 181-203)
  • Eagle M.N., Attaccamento e sessualità in Psicoterapia e Scienze Umane, 39, 2, 2005, pp. 151-164 (trad. inglese: Attachment and sexuality. In: Diamond D., Blatt S.J. & Lichtenberg J.D., editors, Attachment & Sexuality. New York: Routledge, 2007, pp. 27-50)
  • Fornari F., Condizione depressiva e condizione paranoidea nella origine delle leggi e nella crisi della guerra, in aut aut, 64, 1961, pp. 335-361
  • Id., La psicoanalisi della guerra: riduzione all’inconscio del fenomeno guerra e responsabilità individuali della guerra (Relazione al XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze, Milano, 16-19 maggio 1964) in Rivista di Psicoanalisi, 10, 3, 1964, pp. 209-289
  • Id., Risposta di Franco Fornari [agli interventi di: Andrè Green; Pietro Veltri; Francesco Alberoni; Anne Clancier; Yves Dalibard; Giovanni Hautmann; Robert Barande. XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze, Milano, 16-19 maggio 1964] in Rivista di Psicoanalisi, 10, 3, 1964, pp. 321-344
  • Id., Psicoanalisi della guerra atomica, Edizioni di Comunità, Milano, 1964
  • Id., Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano, 1966
  • Id., Dissacrazione della guerra: dal pacifismo alla scienza dei conflitti, Milano, Feltrinelli, 1969
  • Id., Psicoanalisi e cultura di pace: antologia di scritti sulla guerra e la pace, Introduzione e cura di Graziella Magherini, San Domenico, Fiesole (FI): Cultura della Pace, 1992
  • Freud S., Sulla più comune degradazione della vita amorosa (Contributi alla psicologia della vita amorosa, 2) in Opere, 6, Boringhieri, Torino, 1974, pp. 321-432
  • Id., Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte in Opere, 8, Boringhieri, Torino, 1976, pp. 123-148
  • Id., Itroduzione alla psicoanalisi. Lezione 16: Psicoanalisi e psichiatria in Opere, 8, Boringhieri, Torino, 1976, pp. 407-419
  • Id., Al di là del principio di piacere in Opere, 9, Boringhieri, Torino, 1977, pp. 189-249
  • Id., Perché la guerra? (Carteggio con Einstein) in Opere, 11, Boringhieri, Torino, 1979, pp. 289-303
  • Fromm E., The Anatomy of Human Destructiveness, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1973 (trad. it.: Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 1975)
  • Gazzillo F. (a cura di), Fidarsi dei pazienti. Introduzione alla Control-Mastery Theory, Prefazione di Nino Dazzi, Raffaello Cortina, Milano, 2016 (Nuova edizione: 2021)
  • Green A., Intervento sulla relazione di Franco Fornari (XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze, Milano, 16-19 maggio 1964) in Rivista di Psicoanalisi, 10, 3, 1964, pp. 291-293
  • Hartmann H., Ich-Psychologie und Anpassungsproblem in Internationale Zeitschr für Psychoanalyse, 24, 1939, pp. 62-135 (trad. inglese: Ego Psychology and the Problem of Adaptation, International Universities Press, New York, 1958; trad. it.: Psicologia dell’Io e problema dell’adattamento, Boringhieri, Torino, 1966)
  • Hartmann H., Essays on Ego Psychology, New York: International Universities Press, 1964 (trad. it.: Saggi sulla Psicologia dell’Io, Boringhieri, Torino)
  • Hartmann H., Kris E. & Lowenstein R., Papers on Psychoanalytic Psychology, New York: International Universities Press, 1964 (trad. it.: Scritti di psicologia psicoanalitica, Boringhieri, Torino, 1978)
  • Kris E., Zur Psychologie der Karikatur in Imago, 20, 4, 1934, pp. 450-466 (trad. inglese: The psychology of caricature in International Journal of Psychoanalysis, 17, 1936, pp. 285-303). Anche in: Psychoanalytic Explorations in Art, International Universities Press, New York, 1952, pp. 173-188 (trad. it.: Psicologia della caricatura. In: Ricerche psicoanalitiche sull’arte, Prefazione all’edizione italiana di Ernst H. Gombrich, Traduzione di Elvio Fachinelli, Einaudi, Torino, 1967, pp. 169-184. Anche in: Settegiorni, 19, 1967, pp. 35-36)
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  • Id., Expressed Emotion and Projective Identification: A bridge between psychiatric and psychoanalytic concepts? in Contemporary Psychoanalysis, 31, 4, 1995, pp. 617-640. Relazione letta il 20 giugno 1993 al 31° incontro annuale del Rapaport-Klein Study Group (Austen Riggs Center, Stockbridge, Massachusetts)
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  • Id., La psicoanalisi e il paziente terminale in Personalità/Dipendenze, II, 1, 1996, pp. 43-50. Vedi una versione su Internet del 1996.
  • Id., Terapia psicoanalitica. Seminari, Milano, FrancoAngeli, 1995 (Nuova edizione: 2010)
  • Id., La “diagnosi del piano” di Weiss & Sampson, in Migone, 1995, pp. 196-197 (pp. 227-228 ediz. del 2010)
  • Id., “Perché l’emozione aggressiva? Sintesi di alcune ipotesi psicoanalitiche da Freud a oggi”, 2003, Relazione letta alle IV Giornate Psichiatriche Ascolane “L’arcipelago delle emozioni: tra vissuto, comprensione e spiegazione scientifica” organizzate dal Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 13 di Ascoli Piceno al Palazzo dei Capitani, Ascoli Piceno, l’8-10 maggio 2003. Vedi una versione del 2015.
  • Id., Come la psicoanalisi contemporanea utilizza i sogni, in Benelli E. (a cura di), Per una nuova interpretazione dei sogni, Moretti & Vitali, Bergamo, 2006, pp. 250-267 (Relazione al convegno “Per una nuova Interpretazione dei sogni”, Firenze, 18-19 novembre 2005). Vedi una versione del 2006.
  • Id., “Lo psicoterapeuta di fronte al dolore e alla morte”. Relazione letta alle VII Giornate Psichiatriche Ascolane “L’incontro con la sofferenza, la sofferenza dell’incontro” organizzate dal Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 13 di Ascoli Piceno al Palazzo dei Capitani, Ascoli Piceno, il 10-13 maggio 2006
  • Id., Alcune riflessioni sulla guerra dal punto di vista psicoanalitico, in Spagnuolo Lobb M., Migone P. & Manca M.L. (a cura di), La psicoterapia in tempo di guerra, Roma: Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP), 2023, pp. 23-26 (trad. inglese: Some reflections on war from a psychoanalytic point of view in International Journal of Psychotherapy, 27, 2, 2023, pp. 69-74
  • Nichols S.E., Psychosocial reactions of persons with the Acquired Immuno-Deficiency Syndrome in Annals of Internal Medicine, 103, 5, 1985, pp. 765-767
  • Id., Emotional aspects of AIDS: Implications for care providers in Journal of Substance Abuse Treatment, 3/4, 1987, pp. 137-140
  • Perrotti N., Introduzione (XXV Congresso degli psicoanalisti di lingue romanze, Milano, 16-19 maggio 1964) in Rivista di Psicoanalisi, 10, 2, 1964, pp. 105-110
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  • Id., Dreams That Turn Over a Page: Paradoxical Dreams in Psychoanalysis, London, Routledge, 2002 (trad. it.: I sogni che voltano pagina. Raffaello Cortina, Milano, 2003)
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  • Id., How Psychotherapy Works. Process and Technique, New York: Guilford, 1993 (trad. it.: Come funziona la psicoterapia. Presentazione di Paolo Migone e Giovani Liotti, Bollati Boringhieri, Torino, 1999)
  • Weiss J. & Sampson H. (a cura di), Convinzioni patogene. La scuola psicoanalitica di San Francisco. Presentazione di Antonio Semerari, Urbino, Quattroventi, 1999
  • Williams P., “Dreams that turn over a pageby Quinodoz: Review of Internet discussion, in International Journal of Psychoanalysis, 80 4, 1999, pp. 845-856

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